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Rwanda

Innanzitutto è doveroso richiamare la collana a cui questo “Graphic Journalism” appartiene: “Donne sul Fronte”; una collana tutta al femminile dove, grazie a giornaliste con diretta esperienza sul campo, si apre uno spaccato di quelle che sono (o sono stati recentemente) i fronti di guerre in gran parte ignorate dal provincialismo predominante dell’informazione nostrana. Una collana uscita in edicola nelle edizioni de “Il Fatto Quotidiano” che meriterebbe una riedizione per le librerie e che non dovrebbe mancare nelle biblioteche scolastiche.

La premessa precisa che i personaggi “sono parzialmente immaginari, è invece autentica la realtà che li ha prodotti”: in particolare Marie che rappresenta una sopravvissuta e testimone del genocidio dei Tutsi in Ruanda quando in cento giorni tra il 7 aprile e il 4 luglio 1994 sono state uccise 1.174.000 persone (Tutsi e anche Hutu moderati) secondo le stime ufficiali del successivo governo ruandese. L’altro personaggio centrale nella rievocazione è Jean che, in modo trasparente, si rifà a Guillaume Ancel, all’epoca ufficiale francese che solo recentemente ha rotto il silenzio (Rwanda, la fin du silence.  Témoignage d'un officier français, Paris, Les Belles Lettres, 2018) sulle responsabilità francesi (all’epoca del penultimo anno del secondo mandato di François Mitterrand) e in particolare della “Operazione Turquoise” che, sotto il paravento della creazione di una zona umanitaria, in realtà è servita ad armare le bande Hutu responsabili del genocidio; responsabilità anche dell’ONU che si rifiutò di riconoscere il genocidio in atto e pertanto di inviare i rinforzi richiesti dall’esiguo contingente di Caschi Blu canadesi.

Se la narrazione grafica ci fornisce in modo agile e realistico la ricostruzione di quei 100 giorni ruandesi di carneficina, ad un secondo livello può essere letta quale una sorta di “manuale per un genocidio” in quanto ci permette di capire come, all’interno di una comunità dove non esistevano differenze né di lingua né di religione, abbia agito il ruolo dall’alto delle potenze economiche ex coloniali, dei mercanti di morte, dei mezzi di comunicazione di massa, delle truppe paramilitari, organizzando e fomentando un odio razziale e un genocidio di massa verso “gli alberi alti”, gli scarafaggi (“inyezi”) Tutsi e gli Hutu che osavano difenderli. In particolare il ruolo fondamentale di “Radio Télévision Libre des Mille Collines” (Rtlm) prima nel fomentare l’odio, costruendo lo stereotipo razziale della minoranza Tutsi (altezza, naso affilato), e poi, trasmettendo dalla zona sotto controllo francese, dando il via, il 6 aprile, al massacro: “È arrivato il momento! Tagliate gli alberi alti. Schiacciate quegli scarafaggi” e dirigendo man mano le operazioni fornendo anche le liste con i nominativi da eliminare. Se i nomi dei luoghi e dei protagonisti sono diversi, le dinamiche di pulizie etniche e genocidi che attraversano la storia contemporanea sono purtroppo drammaticamente simili.

Sul genocidio del Ruanda venne istituito dalle Nazioni Unite, ad Arusha (Tanzania), un Tribunale internazionale che, con un dibattimento durato ben 21 anni, commutò 61 condanne e 14 assoluzioni a cittadini ruandesi. Molti dei responsabili sono riusciti a sfuggire (perlopiù in Francia e in Belgio, spesso sotto falso nome). Sulle responsabilità del corpo militare francese è invece calata una cappa di un silenzio che solo alcune testimonianze, come quelle di Guillaume Ancel, cominciano da poco ad incrinare.

Cfr.: https://fr.wikipedia.org/wiki/Guillaume_Ancel

 

Consigliato da Gianmaria Ottolini